Un Ponte Di Parole Per Civita Di Bagnoregio

Come e perché salvare il borgo "mediante" i libri e la mediazione

di Osvalo Duilio Rossi, 4 Ottobre 2015

La Parola Che Non Muore

IFORmediate è un organismo di mediazione civile e commerciale che aiutia le persone a conciliare le liti evitando i tribunali: facciamo da ponte tra persone su sponde diverse; cerchiamo di superare i vuoti o gli ostacoli che separano le parti in lite; le facciamo comunicare in modo costruttivo e, col dialogo, le aiutiamo a leggere i problemi da prospettive inconsuete, cosicché le parti stesse scoprano soluzioni conciliative, altrimenti nascoste dai loro pregiudizi.

Tutti noi, venendo a Civita di Bagnoregio, abbiamo percorso quel ponte; e, forse, avrete notato che l’aspetto del borgo cambia man mano che vi spostate lungo il ponte: da lontano sembra un’isola sospesa, come i castelli volanti disegnati da Hayao Miyazaki; poi somiglia a una rocca di difesa; poi continua a cambiare. Ma anche il promontorio da cui siete partiti cambia aspetto: da vicino sembra un giardino, da lontano un contrafforte... E il ponte vi consente di passare da una prospettiva all’altra, ma anche di confrontare l’aspetto delle 2 sponde e, quindi, le loro somiglianze e differenze.

Le poesie e le canzoni, i libri e i film svolgono la stessa funzione di un mediatore: portano le idee degli artisti al pubblico, come fa un ponte, e questa mediazione "artistica" - i mediatori professionisti, tra l’altro, scrivono di una vera e propria Arte del negoziato (Fisher & Ury) - la mediazione dell’arte, dicevo, ci consente d’interpretare da una prospettiva nuova e, a volte, sorprendente, le idee accumulate e calcificate nella nostra memoria.

La metafora dell’opera d’arte come mediatore, costruita come un ponte tra poesia e memoria, suggerisce quanto sia importante il ruolo dell’intermediario e, quindi, conferma il vecchio assioma di McLuhan (Gli strumenti del comunicare) secondo cui «il medium è il messaggio» perché il tramite, appunto, qualifica il contenuto dei messaggi a seconda di come interviene. L’era digitale lo ribadisce incessantemente: con i mass media che istruiscono la popolazione, ma d’altra parte la stordiscono; con Internet che dà libero sfogo alla comunicazione, ma sorvegliandola e tracciandola minuziosamente; con gli intermediari finanziari che foraggiano di moneta elettronica gli operatori economici, ma che li indebitano anche; con le telecomunicazioni che, controllate dagli apparati di giustizia, hanno smascherato il mondo di mezzo, ma solo perché gli hanno consentito d’infiltrarsi ovunque. Questi e altri paradossi proliferano di pari passo con lo sviluppo tecnologico.

Ho pubblicato nel 2008 un volume intitolato Cultura digitale: Wii like it, che dono alla Casa del libro di Civita. Sostenevo allora che i media di nuova generazione ci coinvolgono e ci abituano ai paradossi così tanto che stentiamo a riconoscere gli equivoci e i cortocircuiti di cui siamo testimoni. Interagiamo, infatti, sempre più con i media, anziché tramite i media - penso a Insieme ma soli di Sherry Turkle o a Her di Spike Jonze – ma non ci accorgiamo che quella con i media è una relazione senza scambio: ci coinvolgono in un’interattività a senso unico, dandoci l’illusione, però, di un’interazione a doppio senso (Andrea Balzola & Paolo Rosa, L’arte fuori di sé). Pensate, per esempio, a chi ha bisogno di isolarsi dal mondo circostante, col proprio terminale (un laptop o uno smart-phone), per entrare in contatto con una comunità on-line. Un paradosso notevole da cui consegue una strutturazione tutta nuova del pensiero: sembrerebbe, così, che digitare sulla tastiera o solleticare il touch-screen impoverisca le capacità di apprendimento e di memorizzazione; cosa che, invece, non accade quando scriviamo con carta e penna; come confermano V. Berninger (2009), K. H. James (2010), M. Thomas & J. Dieter (2012) e A. Ghosh (2014).

I festival come La parola che non muore, saturi di poesia e creatività, invece, ci allenano a riconoscere le contraddizioni perché stimolano piacevolmente la nostra capacità di cambiare punto di vista sulle idee ben radicate; ben radicate nelle fondamenta dell’abitudine. I fondamentalismi, infatti, ripudiano qualsiasi alternativa strutturale e mirano a cancellare le idee, anziché alimentarle, anche distruggendo materialmente i libri o altre testimonianze culturali, come capita recentemente di vedere nei notiziari.

La Casa del Libro di Civita, invece, intende conservare il sapere. Vi invito, quindi, a donare e adottare libri qui a Civita di Bagnoregio, per sostenere una società di individui riconoscenti, cioè che sappiano ri-conoscere se stessi negli altri e gli altri in se stessi. La conciliazione e la pace, infatti, scaturiscono da questa capacità di riconoscere le similitudini tra le persone, oltreché le differenze. Notare le differenze è facile: i processi attentivi sono programmati nel sistema nervoso per filtrare la continuità e processare la discontinuità, come quando, in una stanza affollata e rumorosa, riusciamo ad isolare le parole del nostro interlocutore dal rumore di fondo o come quando sobbalziamo quando sentiamo un rumore improvviso; ma chi nota le somiglianze, soprattutto quelle sottili, è un poeta, benché la società spesso possa ritenerlo un folle, come scriveva Foucault in Le parole e le cose.

Possiamo riconoscere le somiglianze solo con un esercizio mentale continuo e, perciò, dobbiamo allenarci a “leggere”. Leggere qualsiasi testo e leggerlo da qualsiasi punto di vista, cambiando sempre prospettiva. E la Casa del Libro di Civita sarà un’ottima palestra per tutti noi, come questo festival ci ha insegnato.

Testo del 05.10.2015.